martedì, gennaio 22, 2008

Non mi sento in ordine

Le pantofole con la cerniera un vecchio pigiama consumato e il caminetto.
Erano quasi due settimane che mi intrattenevo così; passavo da SuperMario al libro di Harry Potter e ciò voleva dire alternarsi dal divano al letto.
Io non avevo nulla da raccontare per cui lasciavo che qualcun’ altro raccontasse la sua storia inventata.
In verità non avevo più molto da scrivere e quei pochi pensieri monotematici li tenevo per me, rivoltandoli da sopra al sotto al fine di carpirne un segreto o una risposta.
In realtà conosciamo perfettamente ogni risposta, ma la ricerca di ognuno di noi si ostina a quel piccolo raggio di speranza che può cambiare le cose e rimettere tutto in gioco.
Da tempo avevo l’impressione che qualcuno, attraverso il blog, potesse carpire furtivamente mie informazioni senza manifestarsi e questo mi faceva sentire in disordine.
Poteva essere solo una paranoia o peggio una speranza.
La mia concentrazione era stata deposta in una scatola assieme agli addobbi di Natale ed io non avevo nessuna voglia di andarla a recuperare: mi stavo trasformando in uno di quei ragazzetti d’oggi che sanno parlare solo di videogiochi e sono talmente viziati che non provano nessuna emozione.
A lavoro ci andavo sempre di più controvoglia; la centrale mi sembrava un alveare dove api laboriose producevano il loro miele.
Il nostro era un alveare strano poiché c’erano anche molte vespe; da quelle mi tenevo a sufficiente distanza, talvolta ostentando il mio perpetuo ignorare.
Al mio rientro la mia gatta si scambiava sguardi languidi con un aitante gatto nero venuto da qualche altro vicinato per corteggiarla.
Sicuramente era il migliore rispetto ai suoi ex, ma non per questo diverso dagli altri; dopo l’accoppiamento sarebbe sparito e quella era l’unica certezza di tutto quel rapporto.
Forse anche gli esseri umani erano fatti di puro istinto per cui dicevano delle cose che pensavano realmente, ma che erano dettate dalla situazione del momento.
Frasi, gesti e atteggiamenti erano destinati a scadere ed essere dimenticati.
Quante persone si erano avvicinate a me in quel modo?
Io non ero molto diverso da quel gatto, ma stavo cercando di reprimere il mio istinto perché se non lo avessi fatto chiunque poteva andare bene, chiunque, purché mi strappasse da questa gabbia che avevo costruito con le mie mani.
Sarei diventato come tanti, sarei sceso a compromessi e col tempo mi sarei affezionato a chi mi stava vicino.
Poco alla volta ne avrei fatto il mio punto di riferimento; "io" sarebbe diventato "noi" e quel compromesso si sarebbe tramutato in un surrogato d’amore che tiene alta la propria autostima.
In tutto questo c’era qualcosa di giusto, ma anche di profondamente sbagliato.
Abitudine, un punto fisso, non era questo quello che desideravo anche se ancora dovevo capirlo.
Ero disallineato; dentro mi sentivo in modo, fuori ero un altro; la mia idea di me non corrispondeva alla realtà.
Avevo bisogno di una nuova consapevolezza, una trasformazione interiore.
Eppure per quanto gli esseri umani dovessero migliorarsi solo per se stessi avevano bisogno di trovarne la forza solo attraverso qualcuno da riportare alla mente e questo non aveva nulla a che fare con la propria autostima.