mercoledì, gennaio 17, 2007

Storia di un disegno a piacere

Il grenbiule nero col colletto bianco , un grosso fiocco azzurro tenuto da una spilla.
Capelli lisci e neri che incornicivano un viso d'angelo; bastava alzare lo sguardo per sorridere ad una mamma bellissima che percorreva mezzo paese a piedi per portarlo a scuola.
Andare e tornare, riandare e ritornare, sempre puntuale.
Mia madre si sarebbe meritata un figlio più sereno.


Ero in seconda elementare in una bellissima giornata di sole.
Mai il mondo poteva apparirmi più bello che a quell' età, ed io ero un bambino speciale solo perchè erano gli altri a vedermi così.
La maestra Maria ci disse di disegnare il nostro compagno di banco e ognuno di noi tirò fuori dall'astuccio matite e colori .
Sapevo che dovevo usare quei colori con parsimonia perchè mamma non avrebbe potuto comprarmene altri.
La maestra passava tra i banchi e talvolta si fermava compiaciuta ad ammirare i disegni delle mie compagne, li teneva tra le mani e sorrideva fino a quando non arrivò da me.
Guardò il mio disegno per qualche istante e nella sua espressione vidi chiaramente quello che pensava.
Non ci mise molto ad esternare quello che era il suo giudizio; prese il mio disegno e lo fece girare per tutti i banchi affinchè tutta la classe potesse ridere di me.
Il mio disegno era veramente orribile; dalla testa deforme partiva un collo a forma di U da dove io avevo attaccato gambe e braccia e il ritratto del mio compagno assomigliava ad un ragno sfortunato senza 4 zampe.
Appena il mio disegno ebbe fatto il giro di tutta la classe, la maestra mi guardò con aria di sufficienza, con quell' espressione che anche oggi mi da tanto fastidio nelle persone e poi disse; fa una casetta o un disegno a piacere.
Ero un bambino troppo orgoglioso per mettermi a piangere di fronte a tutti, ma avrei tanto voluto farlo, forse così a 26 anni avrei dimenticato quell' episodio per sempre.
Capì già da quell' età che la scuola era stata invasa da educatori che non avevano la minima idea di che cosa significasse educare e che per nessuna ragione al mondo sarei diventato un adulto stupido.
Se la gente non riusciva ad identificarmi con nessuno e mi vedeva diverso da tutti il mio destino era quello di diventare speciale; perchè ero IO a volerlo.
Per il resto il tempo copre ogni piccola e grande ferita, ma su di me lascia sempre visibile la ciccatrice affinchè io non dimentichi mai.
Vorrei tanto che quella troia potesse vedere come disegno adesso e probabilmente sarei io a rivolgere a lei uno sguardo di sufficienza mentre osservo i suoi occhi spenti e i suoi capelli bianchi.